Arazzo Bianco – Episodio 1

Lo chiamavano Arazzo Bianco, un tipo strano di quelli che non tirano lo sciacquone quando vanno in bagno, che si svegliano con un sorriso sulla faccia più simile a un ghigno che a un sorriso. Si era interessato per un certo tempo a quelle cose di politica, giornali, inchieste. Ma a quel tempo la chiamava robaccia e pensava che il meglio fosse nel prendere la vita per le palle, così diceva ogni tanto.
Arazzo Bianco venne ad abitare nel sobborgo di una città del nord Italia, dove ancora si stampavano i francobolli con la faccia del Duce, che poi venivano messe su delle buste fatte di carta spessa, marrone.
La vita lì scorreva sugli argini di un fiume, che attraversava la cittadella.
Dei ragazzi passavano da quelle parti. Frequentavano la scuola superiore, poteva dirsi dal loro aspetto, erano tre ragazzi e due ragazze. Nel camminare nessuno di loro si accorge che lì per terra sta dormendo lui, Geremia von Stronzheim, poi soprannominato Arazzo Bianco.
Geremia alla pressione molesta di un piede, si svegliò da quel torpore che accompagnava le sue giornate, e si mise a gridare. Chiedeva chi era stato, chi era quel maledetto figlio di una buona donna e cose così. I ragazzi e le ragazze sembravano molto divertiti da quella scena, e non si sentirono per niente in colpa per averlo calpestato. Ridevano di gusto, serenamente. Al suono di quelle risate l’ira di Geremia von Stronzheim si placò, i muscoli della sua faccia si rilassarono, i suoi nervi tornarono ad essere delle correnti placide e un sorriso si distese sul suo volto come una macchia d’olio su una tela. Ma non appena quelli voltarono le spalle chiedendo sbrigativamente scusa, così senza farci caso, Geremia si tolse una delle sue scarpe, per altro micidiali per il loro odore, e la lanciò dritta dritta in testa a uno dei ragazzi. Quello si girò con la faccia stravolta a guardarlo, con un espressione fra il disgustato e il meravigliato, disse che un odore così lo aveva sentito solo il giorno che seppellì il suo cane in giardino, morto da diverse ore. Questo fece di nuovo ridere tutta la compagnia. Coraggio vieni con noi, dicevano con fare da compagnia di amici, andiamo a giocare insieme. Geremia andò con loro, si ritrovarono a giocare in un giardino con una palla di cuoio. Lì Geremia si rese conto della loro crudeltà, lo avevano portato lì solo per divertirsi con lui, per renderlo lo zimbello della compagnia, gli tiravano pallonate sulla faccia e cose così, gli facevano il solletico, lo pigliavano in giro perché puzzava ed era vestito male, e per quel suo accento tedesco, quando diceva cose nel suo italiano stentato.

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